Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.

Questo probabilmente è uno dei film più pallosi che abbia mai visto.
Anzi, sicuramente lo è.
Cosa aggiungere?
Cioè sarebbe ancora una critica? Ok, svisceriamo minuziosamente la pellicola e analizziamola nella sua sostanza.
L’impronta prettamente documentaristica conferisce al film una pesantezza soporifera, ma d’altronde l’oggetto del film stesso non poteva essere espresso diversamente, ovvio che su discovery channel dicevano di più in cinque minuti. La voce fuoricampo di Fiorello ci sta come una mazzata sui coglioni, dire altro sarebbe superfluo. Emilie Simon me la farei uguale, però dopo aver firmalo la sound track di sta cazzata, la prenderei per il culo prima.
Eccessiva enfasi in ogni minuto particolare, dallo scagazzamento alle passeggiane dei pinguinotti c’è una canzoncina a tema, manco fosse l’incoronazione dell’imperatore del giappone. Alla fine sono solo un pugno di sfigaaaaatissimi uccellacci goffi e rincoglioniti.
Sono certo che la domanda vi sorge spontanea, ma tu non ce lo sapevi che era una cagata? Perché ci sei andato? Non te lo immaginavi? E Neverendinglove ci teneva, diceva che era un film “ducio”, mica ci puoi dire “macchecagatanonciverròmai!”.
Soporifero e si vive meglio senza.
Ogni tanto capita.
Scopri che è passato un po’, scopri che è successo.
Realizzi che non c’è. L’hai persa. Ancora.
Può succedere in tanti modi. Sarà capitato milioni di volte a chiunque, ma nessuno ci fa davvero caso finché non accade. Quand’è stata l’ultima volta che l’hai vista? L’ultima volta che le hai parlato? Spè, è stato il... è stato quando... era inverno, era autunno, era primavera, c’era il sole, pioveva, era una domenica, stavo male, non me ne fregava un cazzo di lei, è stato un caso, mi mancava, avrei voluto soffocarla, ne avevo bisogno. Ti ricordi che faccia aveva? Ti ricordi i suoi occhi? Era triste, aveva un maglione rosso orrendo, era in vestaglia, si stava cambiando, parlava col giardiniere, piangeva, non gliene fregava un cazzo di me, ero felice, no.
E’ successo tante di quelle volte e chissà quante volte ancora succederà, ma se si potesse, se si potesse registrare, fermare, bloccare quell’istante, quel singolo istante, quel momento, quel frame, quell’ultimo frame.
Era tua, la tua ex ragazza, la tua compagna di classe, la tua migliore amica. Era.
E stranamente non te la ricorderai per quell’ultima volta, lì in piedi nel giardino, lì davanti la porta dell’ascensore, lì mentre apri lo sportello della prisma e guardi in su, lì in strada, al ristorante, al cinema, in riva al mare, in macchina, al... Lì. Non ricorderai l’ultima volta se non te ne sfotteva un cazzo. Ricorderai sempre e solo l’ultima volta. Non ricorderai.
E per ogni ultima volta continuerai a farlo perché non penserai mai che sarà l’ultima volta finché non è successo davvero. Finché realizzi che non c’è. L’hai persa. Per fortuna. Perché.
L’hai persa o non è mai successo? La spiaggia, il mare, il cielo, la radio, il cd, le labbra, la pizza, il bracciale, l’anello, il nastrino, le ciglia, il cuore. Ma magari non era nemmeno così importante, ci fai caso solo tu che sei abituato a vivere di ultimi momenti. Magari è un problema tuo, per te che intoni un requiem anche per i biscotti annegati nella tua tazza del tè. Ed è sbagliato?
Non si sa, è un modo di onorare, di ricordare, di amare, di odiare, di esistere.
Per chi realizzi che adesso non c’è. Che hai perso e magari è stato pure meglio così. Magari. Forse, sì, no.